Le nostre feste pasquali simboleggiano, in aggiunta alla festività religiosa, il risveglio della natura dal letargo invernale, l’esplosione di questa forza immensa nascosta nelle viscere della terra, che esce dal sonno; la nascita di una esistenza che tende alla luce.
L’uovo rappresenta, sin dall’antichità, il simbolo embrionale della natura che sta per aprirsi ai raggi del sole. Ricordiamo nei miti greci il mistico uovo di Leda che Giove fecondò tramutandosi in cigno, dal quale uovo nacquero i Dioscuri: Castore e Polluce, rappresentanti la forza e la materia.
“ L’uovo sta alla cucina come gli articoli stanno ai discorsi: sono cioè così indispensabili che il cuoco più abile, rinuncerebbe alla sua arte se gliene fosse proibito l’utilizzo”. Così scrisse Grimod de La Reynière nel suo Almanach des Gourmands, ricordando ancora che l’uovo rappresenta in cucina l’ingrediente necessario per legare la maggior parte delle salse, dei manicaretti magri e di quasi tutti i piatti di mezzo.
E’ un amabile conciliatore che si interpone fra tutte le partite di cucina, per operare il loro accostamento ed amalgamare le une alle altre. E’ indispensabile fondamento di ogni tipo di pasta: frolla, sfoglia, croccante, di credenza, in una parola la base di tutto ciò che appartiene al grande come al piccolo forno. Senza uova, dunque, niente creme, niente pasticceria, niente tramezzi zuccherati e soprattutto, niente frittate.
L’impiego delle uova è così frequente che si conoscono più di mille modi per prepararle, e non è detto che non se ne possano inventare ancora molti.
Greci e Romani erano soliti iniziare i banchetti con uova che, solitamente, erano consumate sode. Nel De re culinaria,di Celio Apicio si trovano, oltre le uova sode e ripiene, uova fritte in padella (sarthago), affogate e condite con savore, olio, vino, pepe, anche quelle “ brinate “ che Apicio chiama opalis dal colore opalino che l’albume assume appena inizia a coagularsi.
Negli antichi trattati di cucina del Platina, del Messisbugo, dello Scappi, del Romoli si trovano anche curiosi metodi per la preparazione delle uova pasquali artificiali di colossali proporzioni, per delizia e sorpresa dei bambini, eseguite in collaborazione dal dolciario, dal pastellario e da un pittore miniaturista chiamato appositamente per eseguirne la decorazione.
Ingegnoso era il procedimento seguito per ottenere queste grosse uova pasquali, non essendo allora disponibili le mezze forme d’uovo in acciaio inossidabile o in policarbonato, grazie alle quali vengono oggi prodotte quelle di cioccolato.
Ci si serviva di una vescica di agnello gonfiata, nella quale si facevano solidificare una trentina di tuorli di gallina. Ottenuta una solida palla, si levava la pelle della vescica e l’enorme tuorlo ricavato veniva inserito in una vescica più grande, quella di un vitello, riempita , a sua volta, d’albumi.
Il contenuto di questa vescica era solidificato introducendolo in un caldaro di acqua bollente. Liberato nuovamente della vescica, questo uovo gigantesco era ricoperto da un guscio artificiale, ottenuto
impastando polvere di talco con albume d’uovo e gomma adragante e cotto in forno. Raffreddato, passava nelle mani di un artista che lo decorava con fregi e stemmi della casata dell’anfitrione o dell’ospite più importante.
Un altro curioso utilizzo dell’uovo, adottato più per stupire che per gustare, era quello di inserirlo intero col suo guscio, dentro una bottiglia dal collo stretto, facendolo prima rammollire in aceto forte e quindi ritornare allo stato primitivo mediante acqua fredda.
Tra le varie ricette del Platina ( Bartolomeo Sacchi detto il Platina) nato a Piadena ( presso Cremona ) nel 1421, si trova la formula per la cottura delle uova fritte in padella, classificate dall’autore come ova fricta Florentinorum more (uova fritte alla Fiorentina), dai milanesi chiamate invece in cereghin, (chierichetto) per via della sfrangiatura al bordo dell’albume che ricorda il pizzo del bianco abito talare indossato dal giovinetto durante il servizio delle sacre funzioni.
Eugenio Medagliani “calderaio umanista“