26 dicembre 2017 Santo Stefano è mancato il mio amico Gualtiero Marchesi
Il mio sodalizio con Gualtiero ha più di sessant’anni e costituisce l’unica legittimazione che mi consente di ricordare questo rapporto, recuperando proditoriamente un minimo di tranquillità col pensiero a Stendhal… In quanto a stile, infatti, pare che egli avesse presente quello un po’ disarmante del codice, dal quale il mio, in peggio, non si discosta, temperato qua e là dall’inevitabile cadenza del “ c’era una volta….”
Quando l’ho conosciuto, Gualtiero stava proprio allora iniziando una sua originale ricerca sulla cucina classica nel ristorante (o meglio, nella paterna trattoria con alloggio) del “ Mercato”, in via Bezzecca angolo via Cadore, proprio di fronte al vecchio mercato ortofrutticolo.
Le nostre strade si incontrarono quando entrambi ci inserimmo nell’attività dei nostri padri. Quello di Gualtiero da sempre e per tradizione albergatore e ristoratore; il mio, da sempre e per tradizione produttore artigianale e venditore di utensili di cucina ed attrezzi per cuochi. Affinità naturali, medesima passione per le arti e per la musica, trasformarono un rapporto di lavoro in amicizia: una di quelle amicizie che per pudore non definirò straordinaria, ma che per realismo dirò semplicemente solida. Era nato, dunque, un sodalizio che aveva fervidi interessi per la cucina colta, per la gastronomia intelligente e raffinata, più espressione divertita del pensiero che imperiosa esigenza dello stomaco. Gualtiero parlava di vivande e del modo giusto di prepararle e di cuocerle, rendendole sempre più semplici, più razionali e perfette; io studiavo gli utensili, gli attrezzi, i materiali più idonei per aiutarlo a realizzare le sue idee.
Dopo tanti anni, gli stessi artigiani che avevano lavorato per mio nonno e per mio padre ricominciarono ad arroventare le lastre di rame sulle fiamme della fucina, e a batterle per ricavare delle forme che ritenevamo indispensabili ad una buona riuscita delle ricette. L’intuizione di Gualtiero fu di creare nuovi piatti che, pur sempre legati alla cucina classica e da essa derivati, esprimessero però nettamente la volontà di liberarsi da schemi antiquati e tradizionali. Era curioso che per preparare le sue ricette innovatrici dovessimo riportare in uso materiali come il rame, e forme (sautoirs, sauteuses, ad esempio) che si richiamavano a una matrice sette-ottocentesca. Per creare sapientemente una nuova cucina si doveva ricorrere con umiltà ad utensili antichi.
Non era certo un vezzo assurdo, perché verificavamo giorno dopo giorno che la buona, la vera cucina – qualunque essa sia – necessita degli strumenti collaudati, più funzionali, nati da secoli di esperienze e dalla collaborazione costante, presso le corti signorili e principesche, del cuoco utilizzatore e dell’artigiano esecutore.